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giovedì 6 dicembre 2012

La Ricerca di Dea, tra teorie e pratiche


Le coppie di opposti

Chi mi conosce, sa che ho una specie di benigna ossessione nei confronti delle coppie di opposti, un’ossessione che però risale come un salmone contro corrente rispetto alla comune tendenza del pensiero classico filosofico di usare le medesime dicotomie come unico metodo “dato” di classificazione del mondo.
E’ che non riesco proprio a fare a meno di dimenticare quel senso di profonda unità che scaturisce dalle mie pratiche di comunione con il sacro femminino, anche laddove ne celebro, seguendo la ruota dell’anno, singole caratteristiche diverse. Un’unità che trasuda da ogni simbolo ruoti attorno a Dea, da molti miti su di Essa, da una percezione del tempo e del mondo totalmente altra rispetto a quella percepita nella nostra era (un’altra mia passione, quella delle temporalià, su cui prima o poi voglio scrivere); un’unità che sembra dissolvere in sé tanto ogni tentativo di separare rigidamente questi opposti quanto ogni loro astratta significazione estrema, e che restituisce piuttosto alle polarità il ruolo di coppie che danzano per favorire la continua Generazione dell’universo.

Non sarò mai in grado, fortunatamente, di definire esaustivamente cosa Dea sia. Allo stesso modo, può parere un paradosso tentare di definire cosa non sia: c’è in effetti qualcosa che può considerarsi estraneo al Tutto che, nell’intimo del mio cuore, Essa rappresenta?
Eppur potrei dire che non credo possa essere rappresentata dai nostri concetti di separatezza, di esclusione, di gerarchia assoluta…

E’ nel momento in cui si idealizza un "bene assoluto" a cui associare una divinità, che automaticamente si genera la necessità logica di controbilanciare con una “contro-divinità” associata all’idealizzazione del male. Con lo stesso metodo, a ogni polo di ciascuna coppia è stato più o meno attribuito il beneficio di positività, o la sventura di negatività.
Quindi uno dei due poli ha finito per assumere una sorta di “primato morale” sull’altro polo. Ovvero, in ogni coppia, un polo è considerato migliore dell’altro. Se scrivo difficile, ecco degli esempi. Se Dio è bene, il Satana di turno è male. Se carne è male, spirito è bene (da dove arriva tutto il lavoro di demonizzazione della carne (=corpo e bisogni del corpo)? O le religioni che si basano sull’ascesi e la totale trascendenza dal piano fisico? Queste categorie, non sono solo astrazioni: creano realtà ogni volta che decidiamo di dar loro corda, creano mondi).  Se si crede che le religioni che predicano l’assoluta trascendenza siano migliori, per contro si definirà negativamente la ricerca dell’immanenza, cosa che mi risulta essere già tendenza in una buona fetta del pensiero filosofico religioso. Se il pensiero scientifico è bene assoluto, quello umanistico diventa “un po’ meno bene”. Se logica e razionalità sono super, intuizione e pensiero magico sono, se non proprio male, “robetta di serie B”.
E che succede, se si polarizza uomo/donna? 
Laddove non si riesce a fare a meno di pensare in questo modo, ecco che l’uno diventerà buono, l’altra…. Un po’ meno. Ed è ciò che riscontriamo nel pensiero passato come nelle tendenze presente, cioè almeno da qualche millennio.


La forma di ribellione, cercata in risposta alle ingiustizie che si sono create sul piano pratico dal radicarsi di questa duale organizzazione di pensiero, si è connotata sovente con l’inversione dell’attribuzione di significati di positività/negatività ai poli. Vuol dire che ciò che prima era positivo, diviene negativo e viceversa. Ne abbiamo esempi estremi nelle correnti di Satanismo in risposta al Cristianesimo. Ma risponde a questa logica anche la negativizzazione assoluta del maschio e l’idealizzazione della femmina, il rifiuto totale di ogni forma di razionalità a favore dello spontaneismo. O dell’estremizzazione delle “cose del corpo” contro a uno “spirito” percepito sempre più come inutile, proprio come sta accadendo nella nuova significazione del nostro mondo.

Il grosso limite di questo modo di ribellarsi, è che usa le medesime regole del medesimo gioco: dividere; chiudere a qualsiasi possibilità di contatto tra le polarità, che in tal modo non possono più creare qualcosa di altro che vada oltre la somma delle due singole parti; creare ulteriori ingiustizie. Una specie di biblica “Legge del Taglione”, un “se io ho subìto, ora subisci tu”, percepita come più appropriata forma di giustizia da alcune correnti neopagane, ma sulla quale invito a qualche riflessione. In quale cultura e in quale paradigma essa si alimenta? E’ davvero questa una giustizia “neutra”, o si ha forse paura di non esercitare un rifiuto sufficientemente netto della morale religiosa corrente (perché percepita da molti come imposta e soffocante)? Cosa desideriamo davvero, un mondo più giusto e rispettoso, o uno diversamente “stronzo” (passatemi la volgarità)? Quale ideale ci alimenta: ricercare una diversa spiritualità, o nutrire il nostro orgoglio e la nostra rabbia? E ancora: possiamo davvero permetterci di criticare questo ordine del mondo o le religioni patriarcali monoteistiche esistenti, se adottiamo e pratichiamo i loro medesimi principi nel trattare “l’avversario”? Ha senso gridare all’ingiustizia e denunciare l’oppressione, laddove perpetuiamo altre ingiustizie e pratichiamo altre forme di oppressione? E’ il concetto di “opprimere” che riteniamo sbagliato in sé, o solo il fatto che le vittime di questa oppressione siamo noi?

 L'aver fondato su queste semplici opposizioni l’intera nostra classificazione del mondo, della realtà fisica, dell’universo, della religione, ecc, e persino di certe nostre forme di ribellione, ci rende davvero difficile cercare di afferrare quale possa essere e persino che possa esser esistita una forma di pensiero e percezione altra, probabile tra le nostre antenate, che può esser descritta con caratteri di circolarità, inclusività, onnicomprensività.

Teorie e pratiche

Perché questa lunga introduzione sulle coppie dicotomiche?
-Perché è nel mio stile dilungarmi e fare il “giro largo”… ;) …e anche così, non riesco mai a essere abbastanza chiara in cosa voglio esprimere! Non so essere concisa in discorsi complessi che danno adito a facili fraintendimenti. E nemmeno voglio dare per scontato che chi legge conosca bene tutti i riferimenti che uso nell’argomentare.
-Perché la coppia teoria/pratica è spesso nella storica lista delle opposizioni.
-E perché sulla risoluzione di questa ennesima opposizione, cerco di costruire il mio sentiero di ricerca di Dea.
Il titolo, coniugato al plurale “teorie e pratiche”, vuol attribuire riconoscimento ai molti cammini possibili, arricchiti da molte teorie e molte forme di pratica, tentando di scardinare l’idea –parte integrante dell’educazione religiosa che molti di noi hanno ricevuto- che ci debba essere in assoluto un’ortodossia, un cammino migliore, in questo caso una sorta di ortodossia di Dea.
Un’enorme montagna può essere approcciata e scalata attraverso molti sentieri, anche eterogenei, e vari versanti. Imparando a sentire “cosa è giusto per noi, in questo momento”, si può imparare a scegliere il miglior sentiero che è migliore proprio per il livello di “allenamento” delle nostre personali gambe. Ma che non è per forza il sentiero su cui far camminare tutti.

Detto questo, non possiamo non partire dallo status quo, ovvero dal notare che nel nostro angolo di società occidentale “ciò che conta” è o la pratica di tipo professionale che esercita ciò che altri insegnano a fare, o il pensiero scientifico super razionale. Che ne è della creatività e dell’arte (basterebbe pensare al destino del sito archeologico di Pompei), e del pensiero umanistico-filosofico? Quale tipo di progresso è celebrato? Quali i corsi di laurea considerati di serie A, e quali di serie B? E’ forse quella dei “giovani portatori di novità”, la categoria sociale supportata e incoraggiata?

A me personalmente sembra che ci sia bisogno di inserire un pò di dimensione creativa sia nelle teorie che nelle pratiche, per quanto riguarda le nostre forme di spiritualità. E questo potrebbe aprire un’ulteriore riflessione, che però rimando.
Soprattutto, percepisco come ancora ci sia bisogno di soffermarsi sulla diffusa percezione di “teoria” come contrapposizione di “pratica”. E qui mi soffermo. Perché in realtà, il consentire a entrambe queste polarità di contattarsi e danzare assieme, credo possa darci in qualche modo… un paio di scarponi con il turbo!

Parto dalla mia esperienza. Fino a qualche anno fa, ero – forse per educazione, tendenze personali, strategie di sopravvivenza che mi sono state utili in passato- profondamente persuasa del primato della teoria sulla pratica. No, c’è di più. Pensavo così, anche per resistenza a certe forme di “pratica” che non mi sembravano esaustivamente accompagnate da un’intenzione conscia, ma che, come dicevo sopra, esercitava “ciò che altri dicono di fare”. Mi capitavano per le mani libri che suggerivano incantesimi preconfezionati pronti all’uso come i "4 salti in padella", oppure liste interminabili di simboli “da usare a piacimento” senza tuttavia soffermarsi su quali e quanti livelli di significati essi potessero contenere, una pratica insomma perlopiù “estetica” ed “esteriore”, che forse attirava (e vendeva di più!) perché aveva il pregio di rendere riconoscibile in breve tempo un qualche grado di identità a chi la metteva in opera.

Non è ciò incredibilmente coerente con il primato dell’immagine che pervade il sistema sociale in cui viviamo? E che ha nel suo estremo quel mondo popolato di modelle, veline, politici, ecc., che pare fondarsi sull’ “appaio, quindi sono”: volti noti snaturati da questo o quell'intervento plastico il quale promette ideali di bellezza eterna nel tempo breve di un'operazione chirurgica?
E’ come se il mondo non fosse mai maturato dalla sua preadolescenza.
Insomma, lottavo con tutte le mie polemiche forze contro un modo di praticare che non approfondiva mai parole come “intento” e “consapevolezza”, laddove queste venissero nominate.


Un modo di praticare che si riduceva a una lista di cose da fare, rituali da compiere, già scritti e pronti al consumo, che ha avuto la grave responsabilità di contribuire allo svuotamento della profondità di un linguaggio simbolico nella spiritualità, per ridurla a poco più che “un libro di istruzioni”… e che ha probabilmente anche nutrito con orgoglio il pensiero di tutti quegli accademici teorici e filosofi delle religioni che non sono riusciti a vedere nelle contemporanee correnti spirituali neopagane o riferite a Dea, altro che un polpettone che definiscono “new age”.
Non è colpa del neopaganesimo, tanto meno dei movimenti della Dea in sè. E’ qualcosa che credo già iniziato da molto tempo. Forse, potrebbe essere dal momento in cui la religione dominante ha deciso che il suo gregge “non poteva capire”, e ha affidato a dogmi ai quali obbedire ogni esercizio di “fede”. Anzi, il termine “fede” stesso ha perso complessità di significato per venire poi percepito solamente come “obbedisci anche laddove ti sembra assurdo, o verrai punito”. E noi tutti, educati in questa cultura, saremmo in qualche grado portatori di questa visione riduttiva del mondo spirituale.

O forse potrebbe essere che, dal punto di vista religioso, per chi di noi ci è passato, già dal catechismo siamo educati che religione significa “come fare che cosa”: ho sempre criticato la smania di iniziare l’insegnamento di dogmi ai bambini in un’età in cui lo sviluppo del pensiero, secondo Piaget, è in una fase in cui li rende recettivi proprio sulla comprensione delle regole del fare.
Non scendo in tecnicismi psico-pedagogici, ma ciò significa che un bambino concepisce la figura di un Dio creatore come un Dio che sa fabbricare cose, e la religione come qualcosa in cui dobbiamo fare una serie di cose “buone” e non farne delle altre che sono “cattive”. Ciò, in aggiunta, avviene in un periodo in cui si dice che la morale è “eteronoma”: la morale, il bambino non se l’è ancora fatta da sé. Gli viene spontaneo cercare i propri riferimenti e i propri paletti dagli adulti, ai quali richiedono naturalmente che si insegni loro cosa è giusto e cosa sbagliato.

Praticamente ipotizzo, attraverso questa lettura psico-pedagogica, che in qualche modo così si rischia di fermare la nostra spiritualità a questo stadio di pensiero infantile….anche se nel frattempo diventiamo adulti. Una sorta di imprinting religioso da cui è complicatissimo uscire.

A questo punto, salta fuori la teoria (o le teorie).
Sempre parlando di me, la teoria è stata un rifugio, un antidoto a un tipo di pratica che ha sicuramente coinvolto anche la ritualità nella mia post-adolescenza. E allora mi sono lanciata in lunghe giornate di lettura di tutto ciò che ritenevo leggibile, in ore e ore a compiere ricerche in internet, a fare parte di più gruppi di studio/lettura contemporaneamente, Mailing Lists, dizionari filosofici, e chi più ne ha, più ne metta.
Ci ho messo davvero un bel po’, ad accorgermi che stavo letteralmente smettendo di vivere: chiusa in un universo vuoi virtuale, vuoi comunque filtrato dal pensiero di altri, per quanto grandi, confinata in biblioteche o davanti a un monitor, presa ormai da una smania maniacale di ingrandire la mia conoscenza.
Quando me ne sono accorta, grazie anche al mio percorso di sacerdozio a Glastonbury, ho rimesso in discussione tutto. Non senza una grossa depressione.

Non critico il lavoro di studio che ho compiuto. Critico il suo renderlo esclusivo e il crederlo necessario ma anche sufficiente. Il gap tra ciò che ero in grado di teorizzare e il mio modo di vivere rischiava di diventare troppo grande. Stavo perdendo i miei punti di approdo. Non mi chiedevo più "e con la vita, a che punto sei?". E altri “colleghi” di studio mi facevano da specchio, mostrandomi come sempre più spesso questo gap si traduceva in una apparente saggezza a parole (o quantomeno a una discreta conoscenza di un sacco di cose), ma una totale incoerenza nello stile di vita e nei comportamenti.
La ritualità, in certi momenti del mio percorso, è stata persino demonizzata.
Criticavo aspramente un bisogno di praticare che ritenevo compulsivo e privo di un adeguato sostegno da parte di un pensiero che desse senso dell’azione. Ma non mi accorgevo che anche il bisogno di libri e teoria, stava diventando compulsivo in me, e non aveva alcun canale pratico di espressione e realizzazione.
Una delle prove di ciò, è che nemmeno mi accorgevo dell’impianto gerarchico di alcuni dei piccoli gruppi che frequentavo, basato su dinamiche di potere tra i membri, in un momento in cui aderivo già alle teorie che vedevano nella gerarchizzazione di tutto una caratteristica del pensiero androcentrico-patriarcale!
La via d’uscita? Riprendermi anche quella dimensione di pratica, lenta, approfondita dalla mia consapevolezza dei significati di cui si arricchivano gesti e strumenti. Non era necessario assumere i significati che altri prima di me davano ma io non comprendevo bene, anzi. Li cominciavo a capire da me. La potenza, e vorrei soffermarmi su questa parola, POTENZA della pratica, unita al pensiero, mi si è allora rivelata.
La vita quotidiana non mi è più sembrata separata da quella “intellettuale” (virgolette d’obbligo, in quanto sono ben lontana dall’essere un'intellettuale così come lo si intende oggi), il corpo non mi è più sembrato in antitesi col pensiero, la ricerca sui libri non era più altra rispetto alla saggezza applicata nel mio stile di vita. E il motore è stato acceso e alimentato dal desiderio di una ricerca di un’UNITA’ quanto più profonda possibile tra ciò che agivo e ciò che pensavo.

E poiché le dicotomie (=coppie di inconciliabili opposti) sono creazioni del pensiero umano, mi è divenuto evidente che teoria nutre pratica, quanto però accade il contrario, pratica nutre teoria. L'una necessita dell'altra.
E certi passi fondamentali nel mio sacerdozio, o nel mio personale culto di Dea, sono diventati consapevolezza nel profondo delle mie viscere solamente nel momento in cui ho iniziato a recuperare il mio corpo, il mondo fisico, e quello rituale, ri-dotandolo di sacralità.
Allora le viscere e la mia mente si sono unite in una danza, permettendomi di compiere ulteriori salti, di spolverare ambiti prima sconosciuti, di risvegliare parti di me dimenticate, che mi hanno portato ad accorgermi dell’esistenza di altre cellule di conoscenza, che potevano nutrire la mia mente e riportarla in funzione.
Così come polo positivo e polo negativo solamente quando sono assieme creano elettricità.

Lettura e teoria, quindi, continuano (anche in questo momento sto "teorizzando", seppure attraverso un blog!). Ma non sono più in una posizione di assoluto primato.
Il mio modo di praticare, vuol scalfire anche un’interpretazione all’estremo di un altro paio di opposizioni classiche, quelle di sacro VS profano e di immanenza VS trascendenza. Ovvero, una pratica che si dispiega si in una dimensione rituale legata a una forma di culto, di Dea nel mio caso: riti di passaggio, celebrazioni della stagionalità della ruota dell’anno, della natura, della Terra e della Luna, di particolari momenti nella mia vita, una celebrazione di aspetti al di fuori di me.. ma anche “dentro” di me. E anzi imparo come ciò che accade fuori si riflette in ciò che accade dentro. Ciò che accade in piccolo, in ciò che accade in grande.
Considero altrettanto profondamente sacro anche il modo in cui dipano la matassa della mia vita nella quotidianità: prendermi la responsabilità del mio agire, fare del mio meglio nel modo in cui mi accosto al mio lavoro, in cui tratto le persone con cui vengo a contatto (nel limite della mia umanità, che non mi consente di essere perfetta), negoziare col marito, l’educazione che voglio dare alla mia bimba, il cibo di cui mi nutro, il mio modo di essere "consumatrice"…. essere consapevole (che è molto più di “sapere”...forse un significato profondo della parola "consapevolezza" contiene in sé l'unione "teoria-pratica"!) che ciò che faccio non è staccato da una dimensione di sacralità, ma ne fa parte. E’anch'esso il modo in cui ciascuno di noi partecipa alla creazione, che è continua. E' il modo in cui ci prendiamo cura delle sottile corde del Wyrd.

Non che tutti si debbano sentire in obbligo di saper fare tutto. Ci sono sempre differenti inclinazioni, desideri volontà. E io stessa, per la mia timidezza, sono ad esempio molto meno portata a fare da facilitatrice in certi momenti pubblici rispetto ad altre mie sorelle. Mi piace più creare, stare “dietro le quinte”, inventare, piuttosto che espormi in prima persona.
Per concludere, riprendo il post sul significato di “sacerdotessa”: non credete a chi vi dice “voi non potete capire”, “ voi non potete farlo”. Chiunque, laddove lo voglia, può farlo: chiunque può capire e fare teoria, capire e creare pratiche: con i propri tempi, quando metodo, lavoro, confronto, umiltà, pratica e desiderio lavorano in sinergia. C'è un gran bisogno del contributo di tutti....

sabato 1 dicembre 2012

Riflessioni di un amico al post "Sacerdotessa: ma cosa vuol dire?"

Un amico ha letto il post che raccoglie alcune mie riflessioni sull'esser sacerdotessa in una nuova spiritualità che si sta affacciando nel nostro mondo, e mi ha scritto un lungo e profondo commento che, per motivi di limite di spazio, non è stato possibile inserire sotto l'articolo citato.

In questo scritto molte riflessioni emergono, molte porte su argomenti interessanti vengono aperte. Ed essendo uno degli scopi di questo blog proprio fare in modo che le idee su questa spiritualità emergente vengano stimolate, discusse, prodotte, mi sembrava un delitto lasciare che questo sentito prodotto umano rimanesse nel silenzio.

Internet è spesso anche il luogo della superficialità, della leggerezza, della banalità.
Diamo spazio invece a ciò che banale non è.
Questa è la risposta di Germano Caputo Licastro al mio articolo:

"Cara Laura,
rispondo alla tua riflessione, forse in maniera confusa, ma sincera,
premettendo che quanto segue è frutto di mie opinioni ed esperienze,
che in alcuni punti assumo come verità finchè non mi verrà provato (o
sperimenterò) diversamente Aggiungo che non ho potuto fare a meno di
dilungarmi e parlarti anche di me, delle mie idee e del mio disagio.

Ritengo sia lecito aspirare ad un riconoscimento sociale, ad un
titolo. Tanto per iniziare perché è la società stessa e le persone che
te lo chiedono, perché tu potresti sviluppare equazioni innovative
come il miglior matematico della storia dell’umanità, ma sentirti dire
che non meritano neanche di essere verificate perché sei una
studentessa di scuola media o un’operaia in fabbrica senza alcuna
qualifica.
Poi perché il porsi degli obiettivi, possibilmente in linea con le
proprie aspirazioni, e raggiungerli conseguendo un titolo riconosciuto
da una qualche istituzione fa parte del percorso di crescita interiore
e personale che tutti dovrebbero seguire.
Certo, spesso non a tutti viene data la possibilità di farlo, pur
essendo molto motivati o bravi, purtroppo fattori economici o altri
sbarrano la strada a molti, e tra questi potresti trovare alcuni tuoi
detrattori. In Italia ne avrai più che altrove di critiche, per ovvi,
suppongo tu comprenda, motivi di arretratezza culturale generale ed in
particolare maleducazione religiosa.

Nella meccanica Dominatrice, a cui accennerò più avanti, purtroppo
siamo tutti impelagati, chi più e chi meno, me compreso. Una delle
risposte che potrai dare ai critici è di guardare cosa e come lo fai
prima di “pregiudicarti” solo per via del tuo titolo. Infatti il
(pre)giudizio è talmente radicato in noi, come il concetto di colpa,
che ormai giudichiamo (o colpevolizziamo) noi stessi e gli altri,
senza neanche rendercene conto, senza neanche possibilità di
sospensione in attesa di verifica.
Così come, sempre, quando accade qualcosa di negativo o imprevisto, si
parte solo alla ricerca del colpevole e non della soluzione, come se
trovare il colpevole risolvesse tutto. In parte è vero, perchè placa
un’ansia, risponde al bisogno emotivo di non sentirsi in colpa, poiché
il pensiero cattolico che pervade la nostra società ci tormenta fin da
piccoli, è come una spada di Damocle sulla testa di ognuno di noi e
che può colpirci per qualunque cosa accada nel mondo.

Altrettanto vero è che vediamo il mondo in maniera lineare:
nell’economia, benessere uguale ricchezza mediante crescita infinita;
nella civiltà, siamo all’apice dell’evoluzione, mai raggiunta prima
finora, senza dubbi; nella biologia, linea discendente, nasciamo
giovani e forti e diventiamo vecchi e deboli; nella medicina, il
progresso medico è in continuo sviluppo, mentre il numero delle
malattie è in continuo aumento ed erano più sani gli antichi
igienisti; nell’educazione, siamo bambini ignoranti ed incapaci cui si
deve insegnare a diventare adulti, invece di conoscere se stessi e
sviluppare le proprie potenzialità che sono maggiori da bambini;
nell'idea di governo, linearità piramidale o di valore, dal
cittadino/suddito ai governanti eletti; eccetera, eccetera, fino ad
arrivare alla spiritualità.
Nasciamo impuri e peccatori (cosa c'è di più puro e innocente di un
neonato?) e possiamo riscattarci esclusivamente seguendo i dettami di
una religione e di un capo religioso arrivando alla fine della nostra
vita a conoscere il divino, dopo la morte (?!). Immagino che da pagana
sarai in accordo con me: il divino è da noi sperimentabile da soli
ogni momento, e le spirali, la ruota, il cerchio sono più appropriati
come simboli di quanto ci circonda e avvolge/contiene.

Attualmente io considero tutte le persone uguali alla nascita, come
potenzialità, pur conservando una predisposizione genetica, quindi
familiare, intendendo quella ereditata dal Dna dei genitori.
Di questo sono certo, mentre non ho ancora capito se esiste una
cattiveria o bontà insita, che non dipenda invece dal modo in cui si
viene educati, ma amati ancora di più, benchè pensi che se avessimo
sufficiente amore insieme alla soddisfazione dei nostri autentici
bisogni e ad un contesto socio/familiare/culturale ideale, saremmo
tutti persone quasi illuminate in una società perfetta.
“Il pianeta verde”, bellissimo film di Coline Serreau, rende bene
questa società (sebbene io la preferisca un po’ più ricca di arti e
artigianato).
Perciò pur contando decine di personaggi e persone (viventi e del
passato, conosciute e non, vicine e lontane, maschi e femmine, bambini
e adulti) che ammiro, stimo, amo, adoro, come manifestazioni del
divino o come leader ispiratori o geni, non ne considero nessuna
superiore ad altre se non nel loro campo di eccellenza o per quello
che possono dare, come per i bambini. Esistono, è innegabile, persone
davvero straordinarie capaci di fare cose impossibili ai più, capaci
di dedicare ogni secondo della loro vita ai loro obiettivi e alla loro
crescita nel proprio ambito,e quindi di costruire grandi cose, nel
bene e nel male, può essere un Berlusconi, come uno Steve Jobs o un
Gandhi. Esistono queste enormi differenze tra individui che lasciano
subito e facilmente immaginare un mondo gerarchico per natura, una
dicotomia: esseri superiori ed esseri inferiori, applicando la stessa
scala a tutto l'esistente, in ordine di valore: dai minerali, alle
piante, agli animali, alle donne, agli uomini, al divino.
Che ci siano differenze anche abissali in gran parte è vero, ma non
accade per genetica o razza (siamo un'unica specie umana), ma per il
modo in cui si cresce, e quindi ad un certo punto, come una piantina
che non ha avuto cure adeguate, o che venga forzata a crescere
artificialmente, alcune persone sono davvero nella condizione di
animalità, o inferiorità che potrei considerare passiva o attiva: chi
fa del male solo a se stesso e chi ne fa ad altri, dalla moglie, al
prossimo, a milioni di persone operando ad esempio in una
multinazionale o in politica.
Queste persone difficilmente possono diventare benigne per i propri
simili, se non con una notevole quantità di risorse che solo una società
molto più evoluta della nostra può impegnare. Anche il peggior
criminale può essere recuperato ed arrivare a conoscere l’amore e a
comprendere il male che ha subito e fatto a sua volta, ricominciando
nuova vita, ma è difficilmente fattibile attualmente.
La mia certezza dell’uguaglianza di tutti deriva sia per maturità
emotiva e razionalità, ma anche per conoscenza diretta. Fin da piccolo
sono stato attento osservatore ed empatico per natura, qualità che mi
hanno portato tanti effetti positivi quanto negativi. Grazie a ciò, e
ai lavori che ho svolto e svolgo, ho potuto constatare quando tutti
siamo umani. Ho conosciuto persone ricchissime e poverissime, in
salute e malatia, di diverse nazionalità e condizione sociale, inermi
e pericolose, forti e vulnerabili, avendo modo di rompere ogni
pregiudizio. Un genio musicale può essere una frana in amore o in
famiglia. Grandi imprenditori essere dei bambini timorosi del buio, un
prete un pedofilo e così via, siamo tutti esseri umani.

Tutto ciò cosa c’entra con le tue riflessioni?
Innanzitutto per avvertirti che troverai sempre chi criticherà chi
sei, cosa fai e la tua scelta, anche infondatamente, anche
semplicemente per cattiveria, invidia, superficialità. Esistono questi
sentimenti negativi come esistono persone pericolose e crudeli. E poi
perché quanto sopra avvalora la tua visione, che condivido, di
eguaglianza nelle potenzialità di chiunque di raggiungere e sentire il
divino, perché tutti lo siamo alla nascita e ce ne allontaniamo
crescendo.
A mio avviso, per fare un esempio, Osho era uno di questi personaggi
capaci di illuminare e guidare senza desiderare il potere. Se il
potere intorno a lui si è creato, come si è creato con Gesù, è stato
per persone che gli erano vicine o lo hanno usato come strumento.
Oppure si diventa vertice di una piramide, nel caso di chi invece mira
coscientemente al potere, perché molta gente ricerca qualcuno a cui
dare potere anche se non ne ha, cerca persone cui delegare, cui
sottomettersi, cui dare responsabilità che non si vogliono prendere.
E' tipicamente il caso italiano, dove nel passato remoto c'erano
imperatori e papi, ieri c'era un Mussolini, oggi un Berlusconi, domani
un Renzi: se la visione prevalente in un popolo è dominatrice, milioni
di persone aspireranno (e collaboreranno) ad avere un leader politico,
un esponente religioso, una medicina, una scuola, un'economia,
piramidali: caratterizzate da gerarchie, autoritarismo, maschilismo.

Penso che quando qualcuno ti si avvicina sia bene che tu valuti anche
questo. Perché è venuto da me? Cerca una guida spirituale o un guru?
Potresti diventare un parafulmine su cui scaricare la colpa!
E’ verissimo che il divino è accessibile a tutti. Come è vero che
alcune persone, come te, possono essere di aiuto nello scoprirlo. Ma è
altrettanto vero che entrambi, sia la ricerca autonoma, che il tuo
ruolo, richiedono impegno, responsabilità, capacità di discernimento,
di sopportare delusioni e il peso di scelte sbagliate ed errori. Di te
sono certo che hai coraggio per affrontarlo, ma per la maggioranza
delle gente è molto più facile scegliere una religione (o l'ateismo,
la scienza, il denaro, eccetera), il relativo testo “sacro” ed
affidarsi ad un guru che ha la risposta pronta per tutto, che sia il
papa, il Dalai Lama o l’oroscopo o il segno zodiacale! Esiste
un’infinità di palliativi e “succhiotti” cui restare attaccati per
tutta la vita. Tutto ciò fa comodo al sistema Dominatore, come fa
comodo avere persone tendenti alla dipendenza: ora dal partner, ora
dal lavoro, ora dallo psicoterapeuta, ora dal medico, e così via.
Finchè un individuo rimane immaturo e lacerato da conflitti, interni
ed esterni, ha poche energie da dedicare a sviluppare il suo potere e
ribellarsi dalla sua condizione di schiavitù dal Sistema.

A parte ciò, cioè la relazione personale tra te e la gente, il compito
di una sacerdotessa consiste anche, e questo nella tua riflessione non
l’ho trovato forse perchè lo davi per scontato, nel tramandare,
preservare, e anche arricchire, una saggezza antica, dovrei dire una
religione. Questo termine nel tuo caso però non è corretto perché il
paganesimo non può mai diventare religione, prima di tutto per la sua
diversità “genetica”, non si può paragonare un prodotto della visione
Mutuale con uno della visione Dominatrice. Poi per la valenza negativa
che ha assunto questo termine nella pratica, ed infine per la sua
etimologia così controversa. Quel che tu tramandi, rappresenti,
preservi e divulghi, anche mediante rituali, simboli, vestizione,
testi e la tua interpretazione, ha un valore immenso perchè frutto di
migliaia di anni di impegno di popoli e persone che hanno ricercato
giustizia, verità, equilibrio, ordine nel caos, l’essenza della realtà
(divina) dietro l’apparenza materiale della nostra esistenza, in tempi
in cui era molto più facile guardare le cose per quello che sono, tra
parentesi. Ogni volta che leggo da saggi del passato di come sia
facile trovare il divino nella natura, sorrido amaramente, sapendo
quando sia quasi impossibile per noi occidentali e civilizzati trovare
un briciolo di natura…

Quindi, riassumendo, in te, nel tuo ruolo di sacerdotessa, vedo tre
esercizi.
La tua realizzazione e sviluppo personale, visto che era qualcosa che
sentivi fin da piccola; l’interrelazione con gli altri; il paganesimo.

Riguardo critiche e altro inoltre, considera anche che hanno valore,
meritano valutazione e risposta a seconda delle persona e delle
motivazioni che stanno dietro chi le fa. Dopotutto devi render conto
alla tua coscienza, e guardare ai risultati. Punto.
Infine bisogna tener presente che siamo nel pieno del conflitto tra
due modelli e visioni opposte: Dominatore e Mutuale. Il primo ha
cominciato ad espandersi, con i risultati che vediamo, da quasi
cinquemila anni, suppongo conoscerai Riane Eisler, Marija Gimbutas e
soprattutto “Le nebbie di Avalon”*, che secondo me rende perfettamente
l’idea delle origini e della virulenza dello scontro culturale in
atto.

Spero tanto di aver scritto qualcosa di utile e che abbia un senso.
Veramente non mi aspettavo di avere così tanto da dire, ne sono
sorpreso, ma evidentemente le tue parole hanno toccato qualcosa in me
che sento fortemente. In effetti mi ha colpito il tuo scritto, sia
perché hai una chiara e ben delineata visione e parli di cose rare da
trattare, e poi perché anch’io sento qualcosa di analogo fin da
piccolo, e ancora non ho messo a fuoco cosa, anche se è evidente che è
molto radicata e include una spiritualità che mi è stata negata fin da
allora, una sensazione di appartenenza non riconosciuta a qualcosa di
più grande, la Terra, la Dea, la Natura, la Vita, che non ho ancora
avuto modo di focalizzare e di praticare e condividere pienamente con
gli altri.

Sono sempre stato empatico e desideroso di essere di aiuto agli altri,
l’ho sempre fatto in qualche modo, spesso trascurando me stesso e
commettendo tantissimi errori e scelte sbagliate di cui ne pago le
conseguenze. Il mio fantozziano “sogno mostruosamente proibito” è di
cambiare e creare armonia nel mondo. E i valori che ho individuato
come primari e da cui sviluppare principi e addirittura un movimento,
in sintonia con il paganesimo, la Natura e tutte le altre cose che
sento risuonare in me sono tre: Amore, Vita, Libertà.
Ma non sarà che mi concentro sugli altri per evitare di fare i conti
con i problemi della mia vita e con me stesso? Oppure in effetti,
questo desiderio non è altro che la manifestazione umana dello spirito
che anima il tutto? Un eco della flebile voce della Natura cui io e
tanti altri siamo sensibili perchè ancora connessi ad essi? Se la
Natura vuole difendersi, e siamo tutti connessi, non può forse agire
tramite noi, facendo sentire la sua voce in noi? Non con le parole,
ovviamente, ma come sentimento, percezione... è quel che sento!!!

A questo proposito, del nostro ruolo storico, condivido quanto dici
del passato. Senza cadere in illusioni d'epoche d’oro. Non saranno
state utopie, ma ritengo ci siano stati periodi migliori rispetto alla
storia insegnata che lo nega decisamente. Penso il nostro passato sia
indispensabile conoscerlo, il più possibile veritiero, senza storie
scritte dai vincenti, con le lenti del Modello Dominatore, o libri
sacri revisionati da uomini repressi; il tutto relativamente: nessuno
ha prove certe.
Al pari di un percorso di psicoterapia, solo conoscendo (e
rielaborando) le nostre origini e le vicende che ci hanno forgiato
possiamo diventare consapevoli di chi siamo, fare pace con noi stessi
e svilupparci armoniosamente, aiutando gli altri, persino trovare le
energie per affrontare questo momento di crisi spirituale e culturale,
prima che economica e politica.

Solo così possiamo evolverci, dobbiamo considerare il passato
guardando il presente per creare il futuro che vorremmo e che
meritiamo, realizzare il compito che ci è stato assegnato dalla
Creazione. Abbiamo un ruolo nell’Universo, che non è quello di
distruggere il pianeta, ma casomai proseguire il lavoro
dell’Evoluzione, cioè portare la Vita altrove nell’Universo, cosa che
sarebbe già fattibile, se non fossimo bloccati da qualche migliaio di
anni dal Modello Dominatore a lottare contro noi stessi e distruggere
la Vita. Altresì sono convinto che nella storia del pianeta non è la
prima volta che raggiungiamo elevati livelli di tecnologia e civiltà,
è accaduto e accadrà ancora infinite volte.
Grazie Laura. Non è la prima volta che rispondendo a qualcuno ho
l'occasione di parlare di quanto scaturisce per collegamenti più o
meno visibili. Io vedo tutto collegato!
Germano Caputo Licastro

*Sai che io leggendolo stavo male??? Penso di avere avuto altre vite e
di aver subito violenze, ma anche di essere stato un persecutore. In
fondo noi siamo entrambi, e dobbiamo accettarli per vivere in armonia
e non in conflitto...
" I DUE LUPI "
Un vecchio indiano Cherokee è seduto di fronte al tramonto con suo
nipote, quando d'improvviso il bambino rompe l'incanto di questa
contemplazione e rivolge al nonno una domanda molto seria per la sua
età.
"Nonno perchè gli uomini combattono?"
Il vecchio con gli occhi rivolti al sole calante, al giorno che stava
perdendo la sua battaglia con la notte, parlò con voce calma:
"Per ogni uomo c'è sempre una battaglia che aspetta di essere
combattuta, da vincere o da perdere. Perchè lo scontro più feroce è
quello che avviene fra i due lupi."
"Quali lupi nonno?"
"Quelli che ogni uomo porta dentro di sè".
Il bambino non riusciva a capire, ma attese che il nonno rompesse
l'attimo di silenzio che aveva lasciato cadere fra loro, forse per
accendere la sua curiosità.
Infine il vecchio, che aveva dentro sè la saggezza del tempo, riprese
con tono calmo.
"Ci sono due lupi in ognuno di noi. Uno è cattivo, vive di odio,
gelosia, invidia, risentimento, falso orgoglio, bugie, egoismo."
Il vecchio fece di nuovo una pausa, questa volta per dargli modo di
capire quello che aveva appena detto.
"E l'altro?"
“L'altro è il lupo buono. Vive di pace, amore, speranza, generosità,
compassione, umiltà e fede"
Il bambino rimase a pensare un istante quello che il nonno gli aveva
appena raccontato.
Poi diede voce alla sua curiosità e al suo pensiero.
"E quale lupo vince?"
Il vecchio cherokee si girò a guardarlo e rispose con i suoi occhi puliti.
"Quello che nutri di più"."

Grazie a te, Germano.