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giovedì 7 settembre 2017

Pensieri di una sacerdotessa moderna -1° parte

Riflessioni per un ruolo che funzioni nella nostra epoca, coi problemi e bisogni di oggi.

Questo che mi accingo a scrivere è certamente il seguito del mio post piuttosto conosciuto "Sacerdotessa? ma cosa vuol dire?" che, per chi non lo conoscesse, è linkato qui.
Specifico che quanto segue si riferisce alla tradizione che ho fatto mia, quella nata con il Glastonbury Goddess Temple di certo senza pretesa di parlare per le sacerdotesse di altre tradizioni.

Sono passati ancora anni da quel post. Ad oggi mi sento di confermarne il contenuto e allo stesso tempo ho avuto modo, attraverso esperienze, progetti, incontri e scontri, di allargare molte maglie e approfondire ulteriormente il tema del senso del chiamarsi sacerdotessa oggi, in questo mondo, senza giocare alla rievocazione storica intendo. 

E sta volta provo a farlo per temi, solo alcuni dei tanti.

Un nome altisonante? Modelli gerarchici e modelli circolari
"Sacerdotessa" -  [dal lat. sacerdos -otis, comp. di sacer «sacro» e della radice *dhe- di facĕre «fare»] - fonte Treccani
significa né più né meno che "fare sacro". Colei (o colui, uso il femminile che comprende anche il nome maschile secondo lo stile inglese "sacerdoteSSA", "PRIESTess") che fa sacro.
Non potrei trovare una definizione migliore di quella presentata dall'etimo, il fare sacro!
FINALMENTE! Un sacro che è nel fare, nell'agire, nel movimento.
Faccio sacro. Nulla di strano!

Eppure ancora mi si dice essere un nome "altisonante". 
Non è il nome in sé a esserlo. Direste a un sacerdote cattolico che il suo nome "sacerdote" è "altisonante"? 
A stridere ancora è l'immagine. Un po' come con "sindaca, assessora, ministra", il problema è che la nostra cultura non ha attualmente immagini riconosciute che corrispondano a questa parola. E quelle presenti nell'immaginario attingono nemmeno a un passato storico ma a un corpus di credenze, film, libri, storie che in comune hanno spesso un modello di organizzazione spirituale che non è certo quello a cui la mia tradizione aspira (anche in "le nebbie di Avalon"... diciamolo, io amo quel libro ma non ricalcherei mai l'organizzazione descritta da Marion Zimmer Bradley!).


Farò un giro larghissimo, ma voglio proprio spiegarla questa cosa.
Un signore che commenta spesso la nostra pagina Dea nelle Dolomiti - I volti della Grande Madre ci tiene un sacco a dire come per lui le gerarchie siano sempre esistite perché per lui l'universo stesso è gerarchia. Lo stesso concetto di "ordine", mi pare di capire, per lui non può esistere senza gerarchia.
Beh, il mio (e non solo mio ma sapete la mia prudenza nell'usare il "noi", sempre ambiguo e pericoloso...) concetto di universo e la stessa percezione che ne ho se ne distacca molto.
La gerarchia necessita di separazione. 
Il modello che io afferro è più... fatto di cerchi concentrici. Ed è affatto privo di ordine!
Ebbi questa immagine in una potente meditazione in montagna, nella natura.
Ogni cosa è parte di una cosa più grande e al contempo è ad essa compartecipe. Il fiore e il suo spirito non è separato dalla montagna in cui cresce e dal suo spirito. La montagna e il suo spirito (fatto da miriadi di spiriti e al contempo Uno) non è separato dalla "regione" in cui si colloca. La stessa regione con il suo spirito (fatto di miriadi di spiriti e al contempo Uno) non è separata da... per brevità facciamo il pianeta Terra. La quale Terra con il suo spirito non è separata dallo spirito dell'intera galassia. Eccetera fino a comprendere la totalità dell'universo.
Sappiate che ho semplificato per farla breve.


L'essere umano può scegliere. Dove si vuol collocare? Il pensiero delle gerarchie è un pensiero che necessita di separare. Ordina per importanza, classifica. Spesso usa il pensiero duale oppositivo che per me invece è la causa di molti nostri guai.
L'umano può sentirsi come privilegiato, separato (natura VS cultura), padrone... e infatti, sposare questo pensiero spesso significa percepirsi come "signori e padroni" (della natura, degli elementi ecc.).

Oppure?
Ecco, ormai ho imparato che in qualsiasi tradizione è il modo in cui siamo a essere proiettato "nel cielo". Non il contrario. Se penso e sono in gerarchia, vedo gerarchie nell'universo. Se penso e sono altro, vedo altro. Quasi sempre abbiamo trovato nell'universo la giustificazione del potere che ci siamo presi sulla terra... Fingendo che fosse volere dell'universo stesso (Dio, o chi per esso...). 
Ecco perchè i miti cosmogonici piuttosto che essere "uniche verità scese dagli dei (ironia mode on -sempre in alto gli dei, mi raccomando... -ironia mode off)" rivelano moltissimo del pensiero e dei valori culturali della cultura che li ha prodotti. 
Ci saranno senz'altro tanti altri "oppure". Io vi smollo il mio.
Il mio "oppure" è che io, umana, sono dentro quei "cerchi" descritti sopra. Io sono parte dello spirito e della materia della montagna in cui vivo, che mi ha adottato e questa appartenenza ora la sento fortissima. Sono parte dello spirito e della materia della Terra, del sistema solare, della galassia, dell'universo.
Ho il mio ruolo, ho dei doni. Ho la facoltà di agire, ma sempre meno sento separazione. E come tale agisco, analizzo, penso. Da questo punto di vista sono moltissime le cose che cambiano. L'intero impianto psicologico per come lo conosciamo può essere messo in discussione. 

Se non penso tramite il pensiero duale oppositivo, posso essere al contempo io-persona e parte di qualcosa più grande. Il pensiero duale oppositivo dice che "o sono io, o sono altro". Separa.


Lo stesso senso di "non separazione" vige all'interno della comunità umana che sento mia.
La stessa per la quale servo come sacerdotessa.
Non ho bisogno di un piedistallo, non ho bisogno di un "titolo" per sentirmi meglio. 
Perché sono solo una parte del mio cerchio. Porto i miei doni in favore di tutti, per il bene di tutti, per fare la mia sacra parte per un sacro mondo migliore. E in questo "tutti", attenzione a questo fondamentale passaggio, ci sono anche io. Non è che "o lo fai per gli altri" o "lo fai per te stessa".
Perché se non penso attraverso il principio di "separazione", io sono parte integrante di quel "tutti".
Farlo per tutti significa proprio tutti. Per me, per te, per la mia montagna, per la Terra, per l'universo. Perché chiara sento la rete di interconnessione di ogni cosa. 
E questo mi collega al punto successivo.

"Lo fai per il tuo ego."
Aaah l'Ego. 
Credo che nello sviluppo di forme di spiritualità alternative non siamo ancora riusciti a venirne a capo con la questione dell'ego, considerato il peggior nemico non solo dello spirituale, ma anche del materiale. 
Si dice questo, in società che... altro che egoiche, direi egoiste!
La mia riflessione è assolutamente controcorrente. Pronti? Via!
Perché mai l'ego dovrebbe essere un problema? Il problema semmai è il suo disequilibrio. Un ego smisurato o un ego disintegrato.
Non l'ego in quanto ego.
Quindi, faccio la sacerdotessa per il mio ego?
Assolutamente si.
Solo non come lo intenderebbero in molti.

Svelo l'arcano.
Sempre lui il colpevole: il pensiero duale oppositivo. 
La dicotomia sottintesa, mai svelata e quindi mai messa in discussione, è "io Vs altro": o sono io, o sono gli altri. O lo faccio per me, o lo faccio per gli altri.
Questo attinge a tutti quei modelli in cui si punta all'abnegazione di sé. Il sacrificio. L'umiliazione. Il nascondersi, ancora un po' troppo esaltato negli ambienti femminili. E' la madre cristiana, meglio, direi la madre patriarcale che fa all'oscuro, nascosta, senza farsi vedere, con umiltà, senza pretendere visibilità, con lo sguardo basso, il ruolo che le viene attribuito. Nell'ombra. Per gli altri.
Ci abbiamo fondato il mondo di storie, sacre o meno, sul sacrificio. 
La questione è complessa e perdonate se non mi dilungo ulteriormente.
Sfugge una cosa importante. L'abnegazione, intesa come negazione della propria persona con bisogni, desideri, necessità, opinioni eccetera, non è mai una condizione desiderabile nell'approccio che seguo, quello del "Madremondo".
Non è negando o persino odiando se stessi che si può amare gli, altri tutt'altro.
Sono proprio queste le forme che necessitano di controllo gerarchico. Perché sono le forme nelle quali si toglie il potere delle persone, si neutralizza il luogo dove sta la loro divinità per come la vedo io, che è il luogo dell'espressione di sé come compartecipazione alla Creazione.
Ma l'amore, l'amore che in tanti dicono essere la chiave di tutto (e concordo) parte proprio da noi. 
C'è un' ENORME differenza tra egoismo e amor proprio.
Amarsi è la base. 
Non ti ami? Fermati, comprendi le tue ferite, inizia ad accettarti e continua a imparare ad amarti per tutta la vita.
E sarai in grado di dare agli altri proporzionalmente per come ti amerai.

Idem con l'ego. 
L'egoismo non è che la ferita dell'ego. Non l'ego stesso. 
Abbiamo tutti e tutte, nessuno escluso, bisogni sociali in quanto specie umana sapiens sapiens. Biologia pura e semplice.
Tradotto, abbiamo tutti bisogno di riconoscimento, di essere visti dagli altri, di esser considerati per il nostro valore e per la nostra unicità.
La distorsione è cercare soddisfacimento di questi bisogni a scapito degli altri (ecco la presunta sacerdotessa che si innalza, che tratta la gente come sottoposti, che cerca di essere speciale in contrasto con gente che considera "comune" ecc). Ma altrettanto distorsione è fingere che la soluzione per essere visti sia l'annullamento di sé o peggio ancora fingere che questi bisogni non esistano.
Non serve. Non è utile a nessuno. 
Ecco allora che quando mi si è chiarito questo (passando per entrambe le distorsioni, si, non nel campo spirituale, ma nella vita di sicuro) ho scelto.
Ho scelto che il mio portare doni del mondo servisse quel "tutti" a cui mi riferivo, nel quale sono compresa io. Ho iniziato a cercare la bellezza anche in me, e solo allora ho iniziato a vederla sul serio negli altri. Ho accettato i miei bisogni di essere vista, e così facendo, con il mio essere, posso aiutare anche gli altri a darsi il permesso di cercare di splendere. 
Perché amiche e amici, il cielo è meraviglioso quando ha miliardi di stelle che brillano, non quando ne splende una soltanto. 
Si, sapere di fare questo "mestiere" così difficile nel mondo mi fa stare bene.
E questo va benissimo. Perché in un colpo solo collego il benessere mio, quello delle persone per cui lavoro, quelle del mondo di cui faccio parte pianeta compreso.
Abbiamo sacralizzato il dolore. Per cui pensiamo che per essere "santi" occorra quasi stare male e fare le cose con fatica. 
Madremondo sacralizza il piacere. Quello in cui possiamo stare bene tutti. Perché ci amiamo.

Tutto facile? Cuoricini arcobaleni e spruzzatine di glitters?
Manco per idea. 
Le emozioni che provo sono spesso paura, timidezza, senso di inadeguatezza, frustrazione anche rabbia. 
Perché sono umana, cresciuta nella stessa vostra cultura, con ferite analoghe alle vostre.
E anche questo mi collega al punto successivo (poi per oggi basta).


"E tu saresti una sacerdotessa?"
La paura. 
Quella cosa che quando parlo in pubblico o mi accingo a guidare una cerimonia mi attiva la vocina che dice "e se dirai stronzate? e se nessuno capirà cosa dici? ma sarai in grado di farlo? e se ti impapini? e se ti blocchi? e se non offri una cosa di qualità?" eccetera.
La provo eccome. 
Ho imparato proprio come sacerdotessa che la paura ha un messaggio per te.
La ascolto e non la censuro. E spesso è lei a indicarmi la strada. 
Se il mio intento è forte, se il mio cuore è pulito, ho fiducia che agirò la Grande Madre. Andrò attraverso le mie paure. 
Si, le sacerdotesse in questa tradizione non hanno niente a che vedere con i miti dell'ascesi. Provano emozioni di tutti i tipi perché le emozioni sono emozioni. Non sono giuste o sbagliate, positive o negative.
A "noi" (sta volta passatemelo) piace godere dell'intelligenza del nostro corpo e della pienezza della vita.
Per trovare il coraggio serve la paura. Altrimenti è incoscienza. 
Poi mi viene un'ascella tanta, tremo, sudo eccetera. Ma ci sono lo stesso.

La rabbia.
UUUuuuuuh la rabbia.
Ecco da dove viene il titolo del capoverso. 
Abbiamo un modello di sacro (culturalmente parlando) trascendente e ascetico. 
Qui di nuovo la brutta bestia del pensiero duale - oppositivo. La dicotomia da svelare qui è proprio "spirito VS materia". Le passioni, quindi le emozioni, i desideri, eccetera sono considerati "robetta materiale", e la materia (bassa) starebbe secondo questo pensiero in opposizione alle altezze dello spirito, al distacco terreno e tutta quella roba lì.
Ecco che colei o colui che ha a che fare col sacro sarebbe una specie di manichino amorfo senza passioni che non si arrabbia mai per il suo sommo distacco dalle cose terrene.
Ecco, per carità, se per uno funziona faccia pure.

Ma non è questo l'unico modello di spiritualità possibile e di certo non è il mio.
Anche qui ci sono le relative distorsioni. Scusate se lo dico ma per me il rifiuto dell'intelligenza del corpo, della materia, della terra e delle emozioni è distorsione. Nell'altro senso la distorsione è rimanere in perenne balia delle emozioni, che presuppone non saperne capire origine e quindi direzione.
Lo dico sempre. Io non sono lunare. Smettiamola di dire che il femminile è solo lunare (concetto che sottintende un'altra dicotomia da svelare, ne parlo qui e anche qui). Ogni essere umano è sole e luna, chi più l'uno chi più l'altra, chi a volte l'uno a volte l'altra a volte insieme. Non c'entra il maschile e il femminile, questa della luna femminile e il sole maschile è un'attribuzione che viene dal pensiero delle divisioni. Non è sempre stato così (nelle Dolomiti le leggende parlano persino al contrario! Tante dee sole e un dio "luno") e non è così nemmeno da tutte le parti del mondo.
Io sono assolutamente 80% sole e 20% luna.
Il mio sole mi rende appassionata. Puro e femminilissimo sole e fuoco.
E specie in pre-mestruale, mi arrabbio. Mi arrabbio eccome!

Quanta paura abbiamo della rabbia. Ancora di più ne abbiamo della rabbia delle donne e io sono una donna.
Appassionata lo sono sempre, 24/7. Qualche volta come tutti mi arrabbio. Un paio di volte l'anno sfurio pure! 
Questo per molti dovrebbe togliermi il diritto di chiamarmi sacerdotessa. 
La rabbia per molti "non è spirituale"! Come se la spiritualità fosse, peraltro, uno status statico e non piuttosto un percorso di vita!
Ho letto post persino che dicono che quando uno si arrabbia in realtà è perché ha problemi non risolti eccetera. Mentre lo leggevo mi veniva in mente la faccia del Dalai Lama che candidamente, dinanzi ai miei occhi e alle mie orecchie, raccontava divertito di come anche lui si arrabbiasse con tanto di aneddoto.

Bene, portiamo il sacro nella vita. Le sacerdotesse si possono arrabbiare (si arrabbiò pure Gesù a dirla tutta). La rabbia fa parte della natura umana e non è giusta o sbagliata. Semplicemente è rabbia. 
Un modello di sacro che non è per forza solo trascendente abbraccia tutti gli strumenti della natura umana. 
Un attimo, quello che dico non mi autorizza a usare una rabbia cieca che distrugge tutto e tutti e nemmeno a inventarmi nemici, creare odio eccetera. Questa appena descritta è la distorsione della rabbia, non la rabbia in sé. L'altro capo della distorsione è la repressione, ahimè molto praticata e confusa con "illuminazione". La repressione delle emozioni sfocia spesso in brutte bestie. Ricordiamolo.
La mia rabbia ha spesso messaggi per me. Mostra molto della mia passione, della mia vitalità, del senso di giustizia che provo. Mostra i miei bisogni, i miei confini, e ogni volta che "sfurio" è un'occasione per conoscermi. Per crescere. Per imparare.
La rabbia è un moto di anima che chiede di essere visto. Ogni qual volta provano ad "aggiustarmi" censurando la mia rabbia mi arrabbio anche di più. La rabbia di chiunque va vista. La rabbia chiede quasi sempre "dignità", quando non è nella distorsione.
Certo, per chi sta davanti alla mia sfuriata non è certo l'esperienza più piacevole. Di solito è sempre possibile farci una risata assieme. Solo dopo però, durante diventerei un t-rex!
Quando penso alle cose che mi mostra la rabbia, mi sento ancora più motivata a mettere questa energia vitale per fare cose utili. Per attivismo.
Agisco il mio sole d'azione. Tra cui il mio essere sacerdotessa. Onore anche alla mia rabbia.

E per oggi chiudo il cerchio.

Alla prossima! 







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